Le
recenti parole di Papa Francesco hanno sottolineato, ancora una volta, il
rapporto problematico tra una certa visione “egoistico – razionale” del mercato
e la Chiesa Cattolica o, almeno, una parte di essa, nonché le
strumentalizzazioni, da parte di certa stampa ideologica, della dottrina cattolica e della storia
stessa del Cattolicesimo.
Se
è vero (come è vero) che l’assolutizzazione della ragione individuale, in quel
processo di deificazione edonistica, risultato dell’ideologia rivoluzionaria –
illuminista, è inaccettabile per il Cattolicesimo, non meno importante è la
strenua difesa della proprietà privata da parte del Magistero stesso.
Un
interprete eccezionale, nonché autentico martire comunista, della prospettiva
“proprietaristica” cattolica, fondata nel tomismo coerente, fu Padre Tomas Tyn,
O.P. (Ordine dei Predicatori: è attraverso questo acronimo che vengono
identificati gli appartenenti all’ordine domenicano).
Qualche annotazione biografica è necessaria:
“Tomas nacque a Brno, in Cecoslovacchia, oggi
Repubblica Ceca, il 3 maggio 1950 da genitori entrambi medici, primo di tre
figli: la sorella Helena e il fratello Pavel. Fu battezzato nello stesso
giorno, nella cappella della clinica ostetrica regionale di Brno. Il padrino,
dott.Josef Konupcik fu suo nonno, dentista, attivo cattolico, persona colta,
che nutriva grande venerazione per i santi Agostino e Tommaso d’Aquino.
Dall’ambiente familiare il piccolo Tomas assorbì
quei princìpi cristiani, dei quali il regime comunista di allora ostacolava la
pubblica professione.
[…]
Da ragazzo Tomas si appassionò per gli ideali
cavallereschi medioevali. Questo spirito cavalleresco riemergerà in qualche
modo, trasfigurato da una robusta fede, nel Tomas ormai Predicatore domenicano,
in occasione delle sue frequenti predicazioni, spesso caratterizzate da
un’energica ma sempre leale combattività per il bene delle anime e della
Chiesa.
[…]
Disgustato per le deviazioni morali e dottrinali
presenti in quegli anni in Germania a causa di un’interpretazione modernistica
degli insegnamenti del Concilio e desideroso di vivere la sua vita domenicana
in piena comunione con la Chiesa, Tomas venne a sapere che i Domenicani
bolognesi, sotto la saggia guida dell’allora priore provinciale Enrico
Rossetti, di santa memoria, erano intenzionati a promuovere il vero
rinnovamento conciliare in una posizione equilibrata che evitasse sia le
resistenze di un falso tradizionalismo ribelle al Concilio, sia le deviazioni
dottrinali di uno scriteriato neomodernismo autoproclamantesi continuatore del
Concilio contro l’interpretazione che di esso stava dando il magistero della
Chiesa.
[…]
Fra Tomas fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1975
a Roma da Papa Paolo VI. In quel giorno, come si seppe dopo la sua morte, Padre
Tomas offrì segretamente la sua vita per la libertà della Chiesa nella sua
patria oppressa da un duro regime comunista.
[…]
Immediatamente dopo la sua santa morte devoti ed amici, in Italia
ed in Repubblica Ceca, riconoscenti per i benefici ricevuti grazie al suo
ministero, si sono fatti promotori della sua causa di beatificazione. La loro
perseveranza è stata premiata allorché l’Arcivescovo di Bologna, il card.Carlo
Caffarra, dietro istanza dei Domenicani della Repubblica Ceca, il 25 febbraio
del 2006, nella basilica domenicana di S.Domenico, dove Padre Tomas svolse il
suo ministero sacerdotale, inaugurò solennemente l’inizio del processo di
beatificazione”.
Questa, in sintesi, la storia di Padre Tomas Tyn.
Per quanto mi riguarda, non ho dubbi nel credere
che egli abbia offerto davvero la sua vita per la liberazione del suo paese
natale, la Cecoslovacchia, da quel regime statalista, totalitario, antiumano e
terribile che fu il “socialismo reale”.
Feroce oppositore della Rivoluzione Francese e
dei suoi corollari (fu, tra gli altri, folgorato dalla lettura di “Rivoluzione
e Controrivoluzione” del discusso leader cattolico Plinio Correia de Oliveira),
Padre Tomas scrisse centinaia di pagine, di altissimo valore scientifico
(manifestò il suo talento precocemente nella speculazione
teoretica e alle lingue, anche orientali o antiche come il greco, l’ebraico e
il latino) nei
campi più svariati (naturalmente teologia, metafisica e filosofia ma anche
economia, diritto, epistemologia, storia) e tenne numerosissime conferenze
negli stessi settori.
E proprio al contenuto di una di queste (“Etica
Economica”, parte di una serie di cinque incontri tenutisi a Bologna sulla
Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica), vorrei fare riferimento in questo
articolo: si tratta di un incontro avvenuto a Bologna, nella seconda metà degli anni '80, terzo di una serie di
cinque, incentrato sulla Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica e promosso
dall’Associazione per lo Studio e la Diffusione della Verità Cattolica sull’uomo
e sulla società.
Di
seguito, la trascrizione di alcuni dei passi più significativi della
conferenza, che ho provveduto a trascrivere interamente, seguiti da un breve
commento, in cui cercheremo di tirare le somme e aggiungere un paio di considerazioni.
“L’economia, come
sapete, riguarda l’uso e la dispensazione: esattamente, 'oikonomia' vuol dire 'disposizione della casa' e quindi amministrazione dei beni esterni. È del
tutto chiaro che il rapporto dell’uomo singolo coi beni che lo circondano, coi
beni che egli possiede o non possiede, è di indole sia personale, sia, nel
contempo, essenzialmente sociale: riguarda da vicino l’etica sociale, in
particolare quella economica”.
[…]
La Santa Romana Chiesa ci tiene a rendere noto
che, in questo campo, essa non promulga una legislazione positiva, che deriva
dalla stessa mens ecclesiae del Magistero della Chiesa: il Magistero, qui, non
fa altro che proporre ai fedeli quella che è la lex naturalis dei, con le sue
finalità insite nell’essenza dell’uomo, che non conosce mutamenti; finché
l’uomo sarà tale, quelle leggi avranno validità; e, anche se l’uomo
scomparisse, nella mente del Creatore stesso esso avrebbe sempre le stesse
qualità.
[…]
Trattare dell’etica
economica significa, innanzitutto, definire essenza del rapporto del singolo
individuo umano, inserito globalmente nella società, rispetto ai beni esterni,
rispetto a tutte quelle creature in mezzo alle quali Iddio lo ha collocato.
Qual è questo rapporto? La Chiesa adopera una parola semplice, chiara: il
diritto naturale, imprescindibile, intoccabile, immutabile alla proprietà
privata: tutta l’etica economica poggia su questo fondamentale diritto
dell’uomo; il diritto a possedere (ius dominii privati) le cose, come signore e
padrone delle cose medesime.
Questo diritto, tanto
insediato dai sistemi e dalle ideologie collettivistiche e social comunistiche
di oggi, non è un diritto promulgato da qualche autorità umana ma è creato da
Dio stesso, si appoggia alla struttura personale dell’uomo: il Pontefice regnante,
giustamente, sottolinea il carattere personale dell’uomo; e, proprio in virtù
di questa caratteristica, l’uomo possiede un nativo, quindi originario, diritto
non mediato, derivante dalla sua natura come creata da Dio, a possedere
personalmente, privatamente, le cose. Possiamo illustrare tutto ciò alla luce
dell’antropologia teologica: l’uomo, creato ad imaginem et similitudinem dei, a
immagine e somiglianza del Suo Creatore.
[…]
Proprio la dignità
della persona umana fa sì che l’uomo, anziché essere posseduto dalle cose,
anziché dipendere da esse, debba egli stesso possedere le cose, checché ne
dicano i nostri amici radicali e verdi spinti, secondo i quali l’uomo non
sarebbe altro che un fattore di disturbo nella pulita natura. Non è questo il
senso cattolico; allo stesso tempo, noi non siamo padroni della natura nel
senso di essenza ontologica; sotto questo aspetto l’unico proprietario è Dio.
Per quanto concerne
adoperare le cose, l’uomo è al di sopra di queste, deve esserne padrone, non
schiavo. Vedete l’importanza personale, metafisica e psicologica della
proprietà privata. Importanza, vedremo, anche sociale, non solo ontologica:
solo la proprietà privata garantisce il rispetto dell’uomo nella convivenza
sociale. Solo attraverso la proprietà l’uomo riesce a difendere sé stesso dalle
invadenze della Grande Società, cioè la società politica, sempre tentata dal
totalitarismo, dal collettivismo, dall’invadere la sfera personale dell’uomo.
L’uomo, tramite il possesso dei beni, riesce ad affermare la Sua Verità di
essere sì sociale ma anche di persona, inserito non come uno schiavo ma come
una persona libera, non proprietà dello stato, ma che va rispettato e, anzi,
oserei dire, che va servito dallo stato. L’uomo come bonum honestum.
Questo andava premesso
per farvi vedere l’importanza del discorso della proprietà privata. San Tommaso
d’Aquino, nella secunda secundae quaestio 66 articolo 2, spiega questo
principio della proprietà privata: 'Bisogna, per quanto concerne il rapporto
dell’uomo verso i beni esterni, distinguere un duplice atteggiamento dell’uomo:
anzitutto, il diritto ad acquisire e a dispensare (ius acquirenti et
dispensandi)'; sotto questo aspetto, dice San Tommaso, l’uomo ha il
diritto naturale ad essere proprietario delle cose: l’uomo, cioè, è padrone
delle cose in quanto ha il diritto di acquisire beni terreni e a dispensarli;
l’altro atteggiamento verso i beni della terra è quello dell’uso: l’uomo non
solo acquisisce e non solo dispensa i beni terreni ma ne fa un uso; sotto
questo aspetto, sottolinea San Tommaso, bisogna tenere sempre presente la
destinazione comune, la destinazione sociale dei beni suddetti (notate bene:
distinzione raffinata, non facile a prima vista). Bisogna distinguere l’aspetto
dell’acquisto e della dispensazione: l’uomo, singolo, privato, in modo
insostituibile, deve prendere iniziativa, non è lo Stato che deve spingerlo,
non è lo Stato che deve sostituirsi ad esso, ma è l’uomo, lui stesso, che
acquisisce beni esterni. Vedete come il lavoro, l’impresa, non in senso
marxistico, riduttivo, come se il lavoro fosse solo quello manuale, ma il
lavoro come umana attività, come impresa (anzi, l’imprenditore, più di ogni
altro, ci mette del suo per accumulare i beni della terra e per organizzarli).
Dopo averli accumulati, l’uomo deve, da padrone, non da schiavo dello Stato,
dispensarli.
[…]
Vediamo quali sono gli
argomenti a favore della proprietà privata. Per San Tommaso lo ius acquirendi
et dispensandi poggia su tre fondamenta:
- Ogni
uomo è più sollecito nel procurarsi le cose sue che non quelle comuni a tutti o
a molti,
sicché, se il possesso fosse collettivo o gestito collettivamente dallo Stato,
ciascuno, dice San Tommaso con grande realismo, essendo facile profeta in tale materia,
cercherebbe di sottrarsi alla fatica e lascerebbe ad altri l’impegno. Basta
vedere in Russia cosa succede: c’è il colcos, ovvero la cooperativa agricola,
dove tutti i beni sono in comune, e poi c’è un piccolo appezzamento di terra,
dove il piccolo contadino può coltivare qualcosa da vendere al mercato. Ebbene,
le terre del colcos sono terre assolutamente trascurate, invece quel fazzoletto
di terra è curato con grande sollecitudine e straordinario amore. Perché? Per
un motivo semplice. 'Ma il marxismo sottolinea indole altruistica
dell’uomo!' direte voi. Tutt’altro miei cari, tutt’altro!. Il marxismo
non ha capito una cosa: che l’individuo precede lo Stato. Nessuno vorrebbe
pensare ad uno stato super capitalista, uno stato come persona. Ben venga quel
sano “egoismo”, che tale non è, per cui la gente avverte che lo stato non ha
diritto a possedere prima dell’uomo: prima viene l’uomo, poi viene lo Stato;
solo tramite l’uomo quindi. Lo Stato deve sì amministrare il reddito nazionale,
per così dire, da “redistribuire”. Ma chi gli dà quei beni? I singoli
cittadini. Non è il singolo cittadino che riceve elemosina dallo Stato; è
singolo cittadino che elargisce quanto deve a favore del bene comune, la quale
elargizione torna a suo vantaggio;
-
Il
secondo argomento: gli affari umani vengono sempre meglio curati se ciascuno
ha un compito preciso riguardo qualcosa che gli spetta in proprio. Non è
solo questione del possedere, ma anche dell’intraprendere; se tutti devono
acquisire disordinatamente, non si acquisisce, c’è solo una confusione totale,
come accade nelle economie totalitariste, totalmente fallimentari e sterili,
sistemi esempio di miseria spirituale e miseria materiale. Orbene, San Tommaso
sottolinea: nella proprietà privata, diritto personale, privato, ad accumulare
beni, è il singolo che deve occuparsi del suo dovere di acquisire, non delegare
ad altri. È una delle utopie del marxismo, il quale è dotato di un’anima
ibrida: da un lato, l’anima crudemente e crudelmente realistica, dall’altro
l’allettante anima utopistica. La realtà marxista è la dittatura del
proletariato; l’utopia marxistica è la guarigione dell’uomo dalle sue
alienazioni. Come vuole ottenere questa guarigione il marxismo? Espropriando il
singolo, facendo sì che ognuno lavori secondo il comando della 'società
perfetta', cosa che naturalmente non arriverà mai, fortunatamente aggiungo io
(già la dittatura del proletariato è poco piacevole, figuriamoci lo step
ulteriore paradisiaco che ci promettono…). Quindi, nell’escatologia marxista,
ognuno lavorerebbe quanto gli piace, ricevendo quello che desidera. San Tommaso
dice che non è possibile: la divisione del lavoro corrisponde alla
ragionevolezza e alla dignità dell’uomo; non è conseguenza del peccato
originale, è insita nella natura stessa dell’uomo: appena l’uomo inizia a
vivere in una società ordinata, ciascuno acquisisce per sé: basta vedere i
regimi totalitaristi e collettivisti per rendersi conto del loro fallimento
('piani quinquennali', tutto programmato, tutto pianificato, con grande
confusione però). Non è possibile che lo Stato divida il lavoro, non deve
essere opera di un pianificatore incaricato dal partito o da un organo di stato;
è il singolo cittadino che si incarica di quel determinato lavoro e, attraverso
esso, acquisisce beni coi quali
contribuisce al bene comune. Ecco l’etica sociale ecclesiastica;
-
in
ultima analisi, la proprietà privata contribuisce anche alla pace sociale,
poiché ciascuno è contento del suo (e non può esserlo quando non possiede
assolutamente nulla). La Santa Chiesa di Dio, a differenza della liberale e
massonica Costituzione degli Stati Uniti, dice, non solo, che l’uomo ha il
diritto a essere felice ma il dovere di essere felice! In attesa di una vita
eterna, per vivere una vita serena, è necessario che la società umana miri alla
sua pace intrinseca, immanente. Questa pace non si può raggiungere se i
cittadini non sono contenti ciascuno del proprio, possedendo privatamente. Le
invidie sociali, nelle società disordinate, sia nella società liberale (nel
senso di capitalismo e liberalismo 'selvaggio') sia la società marxista social
comunista, sono fondate sulla scontentezza, sull’invidia sociale. La differenza
potrebbe essere descritta così: nella società capitalista ci sono pochi
contenti e molti scontenti; nella società comunista c’è una perfetta
uguaglianza: tutti sono scontenti.
[…]
Leone XIII fa eco a San
Tommaso nella prima Enciclica Sociale “Rerum Novarum”; afferma che un principio
inscindibile della dottrina della Chiesa è questo: 'possidere res
privatim ut suas, ius est omini a natura datum' (possedere le cose privatamente è un diritto
che la natura stessa ha dato all’uomo). Nel diritto alla proprietà privata
non deve intromettersi la società, perché il singolo, l’uomo, precede la
collettività, precede la società politica. Il diritto alla proprietà
privata è intangibile, solo il privato può rinunciare a esso.
Giovanni Paolo II, fa
eco a Leone XIII nella citata enciclica Laborem Exercens. Pio XI ribadisce
ancora: La chiesa cattolica considera che 'a natura seu a Creatore ipso,
ius dominii privati hominibus esse tributum' (è stato dato all’uomo,
cioè dal Creatore della natura, il diritto al dominio privato dei beni
materiali). Solo che, da un lato, l’uomo deve destinare questi beni a sé e alla
sua famiglia, attraverso un uso personale e familiare e poi destinarli all’uso
sociale: l’uomo non deve dimenticare che il Creatore ha destinato tali beni a
tutta la comunità umana; prima viene il singolo e la sua famiglia, soddisfatti
questi c’è la comunità. L’accumulo del capitale sia destinato al bene comune di
tutti.
Badate bene, cari
fratelli: il principio del capitalismo moderato è principio giusto! È
giusto che il cittadino possieda anche privatamente i mezzi di produzione.
Quando sentite dire: <la Chiesa condanna ugualmente il socialismo e il
capitalismo> non è vero, è una grande menzogna. Intanto bisogna già
distinguere tra capitalismo selvaggio e moderato. Se per 'capitalismo',
marxianamente, si intende il diritto alla proprietà privata dei mezzi di
produzione, tale capitalismo, per l’etica della Chiesa, è lecito, si tratta
di un principio giusto. Lo stato deve provvedere alla promozione del
benessere temporale di tutti i cittadini, amministrare i beni economici in modo
tale da accrescere il benessere; quindi lo stato non accresca la miseria, come
prevede il marxismo; bisogna produrre prosperità per tutte le generazioni,
accrescerla, affinché si possa convenientemente esercitare anche la virtù,
ossia la concezione cristiana della prosperità economica, condizione necessaria
e imprescindibile quale mezzo verso un fine.
Innocenzo III, contro
tutti i vaneggiamenti gnostici contrari alla proprietà privata, impone ai
valdesi una professione di fede, nella quale essi devono ritrattare i loro
errori. È interessante lo spirito antignostico del Magistero Pontificio: il
movimento valdese, sin dalle sue origini, fu quasi manicheo, essendo ostile ad
ogni bene creato (vi era il divieto di mangiare carne, di usare della proprietà
privata, del matrimonio, della autorità nello stato e quindi di punire i
delinquenti con la pena capitale, etc.; i valdesi negavano tutto questo). Cosa
dice Innocenzo III?
'Chi rimane nella
vita secolare e possiede dei beni suoi personali, dandone tuttavia elemosina,
osservando i precetti del Signore, può salvarsi'.
Il cristiano che vive
nel mondo e che possiede privatamente dei beni, purché faccia delle elemosine,
può salvarsi, mentre i valdesi dicevano esattamente il contrario, come i
marxisti e come i nostri cristiani socialisti attualmente. Voi sapete che c’è
questa tendenza a sovvertire la storia del Magistero ecclesiastico, c’è una
rilettura marxista del Magistero, anche da parte dei sedicenti cristiani, i
quali affermano: ‘Sì, la Chiesa ha difeso la proprietà privata ma solo dei
potenti e dei possidenti!’. Ci sono tre documenti, uno di Innocenzo III, uno di
Paolo III e uno di Gregorio XIII, che condannano, anche con pene ecclesiastiche
(scomunica latae sententiae) chiunque osasse espropriare gli ebrei, gli indios
e i neri. Nessun cristiano poteva espropriare un ebreo, per quanto essi non
fossero soggetti al Romano Pontefice. Lo stesso per gli indios: a nessuno
era consentito togliere loro i beni che possedevano; ci sono documenti che
parlano chiaro e, per la Chiesa, il principio della proprietà privata è
principio sacro ed intangibile.
Secondo San Tommaso,
bisogna considerare il male a seconda del bene che è stato offeso: se è vero,
come è vero, secondo i principi dell’etica sociale, che non la società è
padrona ma l’uomo è il fine della società, allora la corruzione dell’uomo nella
sua dignità personale è colpa ben più grave della distruzione della società: il
liberalismo distrugge la società mentre il social comunismo distrugge l’uomo
stesso".
Non
c’è bisogno di aggiungere altro alle mirabili parole di Padre Tomas, se non un
paio di puntualizzazioni circa i seguenti concetti:
- la visione latamente “welfaristica”
dello Stato, quale ente deputato a promuovere il “benessere sociale”;
- il rigetto in toto del “capitalismo
selvaggio”.
Circa
il primo punto: ciò che risulta evidente, dalla lettura sistematica e coerente
di questi versi, è, non tanto, la promozione della necessità dell’istituzione
“Stato”, modernamente intesa (il che è l’unico modo di intenderla, a dire il
vero), impegnato nella promozione del bene comune; il richiamo è
all’istituzionalizzazione della solidarietà, nella forma di una comunità
politica organizzata ed, eventualmente, indipendente dal potere politico, la
quale, spontaneamente, riconoscendo il valore supremo della carità cristiana,
si impegna nella cura e nell'assistenza dei più bisognosi o degli inabili al
lavoro; un insieme di tutele che riecheggia il sistema di welfare presente nella società industriale ottocentesca degli Usa e, più in generale,
nelle forme di solidarietà volontaria scaturenti dalla cooperazione e dal
reciproco aiuto.
Ancora:
lo Stato non è una forma di organizzazione politica come un’altra, perpetuata
dall’inizio della storia umana e destinata a scomparire solo con la fine dei
tempi. È un errore filologico diffuso ritenere che tutte le istituzioni
politiche pre moderne siano, in qualche modo, riconducibili alla forma statuale
(la polis, l’Impero Romano, le monarchie gernamiche, le signorie laiche edecclesiali medievali, etc.); si tratta di applicare un concetto, con la sua
corrispondente elaborazione teorica e proprietà sostanziali ("sovranità", "unità", etc.), a realtà che quella istituzione (lo
“Stato”) non conoscevano.
Infatti:
"L'Etat
est une création historique. Il est apparu à un moment donné de l'histoire, par
conséquent il peut également disparaitre à un autre moment. Son instauration a
repondu à dés necessités de l'évolution des sociétés occidentales, bouleversées
par la rupture qu'ont introduit la Renaissance et la Réforme". [1]
Allo
stesso modo, Paolo Grossi, rinomato storico del diritto e giudice della Corte
Costituzionale, sottolinea:
“Orbene, noi potremmo
continuare tranquillamente a usare il
termine/nozione ‘Stato’ nel generico significato di entità politica munita di effettività
potestativa in un determinato territorio, ma ci inoltreremmo in tal modo su un
sentiero malfido, giacché quel termine/nozione si è caricato durante
l’itinerario della modernità – dal secolo XIV in poi, e sempre più
accentuatamente – di ulteriori e più pesanti contenuti, trasfiguràndosi da
supremo potere effettivo
in una precisa psicologia del potere, intensa e violenta, con la vocazione
totalizzante a controllare tutto quanto, a livello sociale, si svolge nella sua
proiezione territoriale; con l’ulteriore risultato, che a questa psicologia
omnicomprensiva consegue la realizzazione della sottostante perfetta unità politica
e giuridica, perché il grande burattinaio, che pretende di avere in mano tutti
i fili e tenderli e manovrarli a suo piacimento, non tollera nel suo raggio di
azione poteri alternativi o, comunque, zone incontrollate” [2].
L’analisi
della questione richiederebbe molto più che qualche citazione, ma si tratta di
argomento complesso e vastissimo.
Alla
luce di ciò e richiamando le parole di Padre Tyn (“L’individuo precede lo Stato!”) risulta difficile comporre
armonicamente la diatriba proprietà privata – potere pubblico moderno; la
tendenza dello Stato a ingigantirsi e a coprire qualsiasi zona della società,
nella pretesa di “controllare” le nostre esistenze, sembra presente anche nelle
forme statuali che, almeno inizialmente, si presentano più garantiste e meno
minacciose per l’individuo (ad esempio, gli Usa).
In
ultimo, due parole circa il “capitalismo selvaggio”.
Sicuramente,
almeno dal mio punto di vista, i prelati e gli uomini di Chiesa fanno bene a
richiamare l’attenzione sulla deriva assolutista del “liberalismo”: ma
trattasi, appunto, di una particolare forma di “liberalismo”, cioè quello
rivoluzionario - illuminista, che pretende di assolutizzare l’uomo e di
conferire potenza creatrice alla sua ragione: la Chiesa non potrebbe certo
promuovere tale eresìa.
Ma
c’è anche un “liberalismo” (rectius: capitalismo) buono e indispensabile alla vita stessa: è quello “moderato”, ma “moderato” nei suoi
fini (rectius: mezzi), nel senso che non assolutizza l’uomo, che non pretende di
cogliere nella materia (che senso non ha) il significato della vita [il fine
ultimo dell’uomo, per la metafisica e per la religione, è quello di aspirare alla Verità (il “sommo bene” per la prima; “Dio Creatore” per la seconda) e questa Verità esiste da sempre e
per sempre esisterà; negarla equivarrebbe ad ammetterla. Si tratta del percorso
che, per il Cristianesimo, ogni uomo dovrebbe compiere, consapevolmente e
volontariamente, per avvicinarsi, con l’aiuto della Grazia e nei limiti delle
sue possibilità, ristrette dal peccato originale, alla Ragione Creatrice]; perciò la proprietà privata, come sottolinea Padre Tyn, non
ha esclusivamente un carattere “tecnico”, “politico”, “utilitarista”: è il
fondamento stesso della dignità umana, perché vietare la proprietà (e il
possesso) delle cose equivale a permettere la schiavitù degli uomini. È
necessario, nel nostro piccolo, opporre allo statalismo teologico (perché,
sappiamo, si tratta di teorizzazioni laiche di elaborazioni teologiche) una
teologia naturale, intuitiva, tradizionale, cui tutti possano abbeverarsi;
forse falliremo lo stesso ma il recupero della religione in chiave
antistatalista è cruciale.
Bisogna,
nello scetticismo radicale che pervade la nostra società (atteggiamento tipico
di tutte le civiltà decadenti) recuperare un sano dogmatismo etico.
E
che anche la Chiesa possa (ri)trovare il coraggio di opporsi allo statalismo.
Luigi Pirri
Note:
[1] Julien Freund, L'ennemi et le tiers dans l'Etat, in Archives de Philosophie du Droit, 21 (1976), pp. 23 - 24.
[2] Paolo Grossi, Il sistema giuridico medievale e la civiltà comunale, archivio e-prints Università degli Studi di Firenze, p.4.
La trascrizione integrale è altresì disponibile per gli interessati.
La trascrizione integrale è altresì disponibile per gli interessati.
Grazie. Non falliremo in questo compito perché la Dottrina Sociale ci dà tutti i mezzi. Grazie a Dio, la Chiesa è l'unica istituzione che non ammette l'autocontraddittorietà, quindi i suoi principi rimarranno sempre validi.
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