“Oggi
si pretende di costruire il mondo per una eternità e si soffoca ogni residuo e
ogni speranza del bene presente sotto il progetto mostruoso del perfezionamento
universale”.
Monaldo
Leopardi
Nelle
mie scandalose letture reazionarie, alla ricerca del politicamente scorretto,
sono inciampato, nuovamente, nel “Catechismo rivoluzionario per uso delle
scuole inferiori” di Monaldo Leopardi. Padre del ben più famoso e tristemente
(in tutti i sensi…) noto Giacomo, fu filosofo e politico “reazionario” (all’interno
di questa categoria, solitamente, vengono inseriti tutti coloro che non leggono
“La Repubblica"). Trovo questo piccolo
saggio sull’uguaglianza illuminante (la metodologia dialogica di confutazione,
tra l’altro, ricorda alcuni scritti di Bastiat). Perciò ho deciso di trascriverlo
e di proporlo. Se vi piace, diffondete. Grazie.
L’uguaglianza [1]
Discepolo.: è vero che tutti gli uomini sono uguali, come ci assicurano i filosofi
liberali?
Maestro.: Prima di rispondervi, voglio farvi io stesso alcune interrogazioni. È vero che
tutti gli uomini sono d’una altezza medesima?
D.: Signor no, perché altri sono alti, altri mezzani, altri bassi e questa è la
disposizione della natura.
M.: è vero che tutti gli uomini hanno una medesima sanità ed una medesima forza?
D.: Signor no, perché alcuni sono sani, altri infermi, alcuni sono deboli ed altri
gagliardi e questo pure è un altro ordinamento della natura.
M.: è vero che tutti gli uomini sieno di una medesima capacità, talento e ingegno?
D.: Signor no, perché alcuni sono ingegnosi, altri dotti, alcuni sono stupidi,
altri sono ignoranti e questo pure è un ordinamento della natura.
M.: è vero che tutti gli uomini sieno ugualmente saggi, virtuosi e benemeriti?
D.: Signor no, perché alcuni sono saggi, altri
scioperati, altri virtuosi, altri malvagi, alcuni meritano il rispetto e la
lode, altri meritano la galera e la forca e questo pure è secondo l’ordine
della natura.
M.: Dunque l’uguaglianza è anch’essa una frottola spacciata dalla filosofia moderna
e gli uomini non eguali bensì diseguali per ordine e disposizione della natura.
D.: I filosofi non hanno mai detto che gli uomini sieno uguali di statura, di
forza, di sanità e di ingegno: e quella che si vuole dalla filosofia è
un’uguaglianza di altra sorta.
M.: Se gli uomini sono disuguali in tutto ciò che riguarda il corpo e lo spirito e
questo è per disposizione della natura, sarà difficile renderli uguali sotto
altri rapporti senza contrastare con gli ordini della natura. Nulladimeno dite
un poco, in che cosa potrebbero essere uguali gli uomini, per contentare la
filosofia?
D.: Potrebbero essere uguali nelle proprietà e nelle sostanze, sicché al mondo non
ci fossero né ricchi né poveri e sopra la terra ognuno avesse la sua giusta
porzione di beni.
M.: Signor no, che questo non può essere, e dove volesse tentarsi si andrebbe
contro la disposizione della natura. Imperciocché supposto ancora che per un
momento si potesse fare uno scomparto uguale di beni assegnandone a ciascheduno
la sua parte, ben presto la porzione dell’uomo accorto si vedrebbe conservata e
migliorata e quella dello spensierato si vedrebbe decaduta e dilapidata; l’uomo robusto e sano guadagnerebbe con le
sue fatiche e accrescerebbe le proprie sostanze e l’uomo infermo e debole
dovrebbe vendere le sue per non morire di fame; il figliuolo unigenito erediterebbe tutta la sostanza del padre, e il padre di dieci figliuoli dovrebbe
dividere la sostanza propria in dieci parti: così in capo a pochi giorni
l’uguaglianza dello scomparto sarebbe guastata e si tornerebbe alla primiera
disuguaglianza. Volendosi dunque
conservare l’uguaglianza, bisognerebbe ogni sera tornare da capo allo
scomparto, rubare il suo a chi ha per darlo a chi non ha, favorire i dissipatori e gli oziosi
discoraggiando gli operosi e frugali e rovesciare da capo a fondo tutte le
ragioni della giustizia e tutti gli ordini della società. Non potendosi far
questo, è d’uopo lasciare al mondo la
disuguaglianza dei beni: e poiché la disuguaglianza dei beni procede dalla
disuguaglianza delle forze e degli ingegni la quale è ordinata dalla natura, è d’uopo
confessare che anche la disuguaglianza dei beni procede dal comando e dall'ordinamento
della natura.
D.: Dite bene, e se vogliamo confessare la verità, pare che la disuguaglianza dei
beni si accomodi a meraviglia ancora con la filosofia, giacché i filosofi
liberali non si contentano della parte loro e fanno quanto possono per
pigliarsi ancora quella degli altri. Sarà dunque che gli uomini debbano essere
uguali nel grado e nella condizione?
M.: Signor no, che neppur questo è vero e la disuguaglianza delle condizioni e dei
gradi è anch'essa secondo l’ordine della natura. Imperciocché primieramente, se
nell’ordine sociale è necessario che vi sieno principi e magistrati per
comandare e ministri superiori e inferiori per aiutarli nella loro gestione e
per eseguire i loro comandi, questi magistrati e questi ministri costituiranno
necessariamente gradi e condizioni diverse nelle società e non potrà farsi che la condizione del
giudice sia come quella dello sbirro e la condizione del vescovo sia uguale a
quella del campanaro. Secondariamente, se è per ordine della natura che vi sia
fra gli uomini la disuguaglianza delle ricchezze e quindi la disuguaglianza
dello splendore e del fasto, dell’educazione e della coltura, è naturale che
debba esservi ancora la disuguaglianza della condizione e dei gradi, e non
potrà farsi che la condizione di un gran signore sia come quella del fabbro, e
la condizione di un avvocato e di un medico sia come quella di un beccamorti.
Per ultimo, se è per dettato della natura che vi siano principi e magistrati,
ricchi e pezzenti, ignoranti e dottori, sarà ancora naturale che la stima, il
rispetto e gli omaggi del popolo distinguano una classe dall'altra; e non potrà farsi che il comune degli uomini
ravvisi in un medesimo grado e in una condizione medesima il sapiente che lo
ammaestra dalla cattedra e il montanaro che vende cald’arroste, il grande che
passeggia in carrozza e il facchino che spazza la strada. E poiché la
disuguaglianza dei gradi e delle condizioni procede da quelle disuguaglianze
originali che vennero stabilite fra gli uomini dalla natura, è d’uopo
riconoscere che anche la disuguaglianza nella condizione e nei gradi è dettata
e comandata dalla natura.
D.: Dite bene, e bisogna accordare che la disuguaglianza delle condizioni e dei
gradi è secondo l’ordine della natura. Almeno però gli uomini dovranno essere
uguali in faccia alla legge?
M.: Questa è una proposizione confusa della quale sogliono servirsi i filosofi
liberali e prima d’approvarla è d’uopo dichiararla bene, acciocché non se ne tirino conseguenze false
e spropositate. La legge, per essere utile e giusta, deve essere adattata alle
circostanze, e siccome sono varie e disuguali le circostanze e le condizioni
degli uomini, così la legge non potrebbe essere né utile né giusta se non fosse
proporzionata alle disuguaglianze degli uomini. Quella legge la quale senza
riguardo alla ricchezza e alla povertà, alla debolezza e alla gagliardìa
imponesse a tutti gli uomini uguaglianza di lavoro e di tributo, sarebbe una
legge ingiusta, perché il dovizioso e il mendico, l’infermo e il robusto non
possono considerarsi uguali in faccia alla legge. Così quella legge la quale punisse
ugualmente il gettito di un pugno di fango contro un facchino e il gettito di
un pugno di fango contro un gran signore, sarebbe ingiusta, perché il facchino
da quel pugno riceve un oltraggio leggiero, laddove il grande ne riceve un’onta
gravissima; e le convenienze di un facchino e di un gran signore non possono
considerarsi uguali in faccia alla legge. Qualora si considerassero
singolarmente tutti gli ordini e i rapporti sociali, si troverebbero in essi
moltissime disuguaglianze consimili raccomandate dalla ragione e dalla natura:
perloché se i filosofi moderni, dicendo che tutti gli uomini devono essere
uguali in faccia alla legge, intendono sostenere che la legge deve essere cieca
come una talpa e dura come un pilastro, senza adattarsi e proporzionarsi alle
circostanze e alle disuguaglianze degli uomini; l’assertiva dei filosofi è una
menzogna e non è vero che gli uomini sieno uguali in faccia alla legge. Se poi
si intende che a tutti gli uomini si debba secondo la legge amministrare
ugualmente e imparzialmente la giustizia, questo è verissimo e non lo contrasta
nessuno.
D.: Dunque almeno tutti gli uomini dovranno essere uguali in faccia alla giustizia?
M.: Sì, come vi ho detto, questo è verissimo: ma tale uguaglianza si gode da tutti
gli uomini in tutto il mondo civilizzato e non c'era bisogno che si
sfiatassero a predicarla i filosofi liberali. Presso tutte le nazioni
civilizzate la proprietà del povero è sacra come quella del ricco, la sicurezza
del debole è garantita come quella del forte e la vita dell’umile è difesa come
quella del grande; e se talvolta si vedono parzialità odiose ed ingiuste,
queste sono il peccato dell’uomo e non il difetto delle istituzioni e delle
leggi.
D.: Mi pare che diciate bene e che, per disposizione della natura, gli uomini
debbono essere disuguali in tutto, godendo solamente uguaglianza in faccia alla
giustizia, la quale uguaglianza, poco più poco meno, si trova nell'ordinamento
di tutti gli stati. Ma se con un poco di raziocinio si disconosce tanto
facilmente che l’uguaglianza è un delirio, come mai i filosofi liberali si
ostinano a predicare e inculcare l’uguaglianza generale degli uomini?
M.: I filosofi liberali, almeno quelli di oggidì, conoscono benissimo che
l’uguaglianza è una chimera, ma se ne servono per adulare e suscitare le
passioni del popolo. Il volgo conosce per una parte, che tutti gli uomini
devono essere uguali in faccia alla giustizia, e poiché qualche volta soggiace
o crede di soggiacere all'aggravio della prepotenza e della parzialità, mette
facilmente a carico delle istituzioni e delle leggi il difetto e la
prevaricazione dei magistrati: e, d’altra parte, trovandosi nella bassezza e
nella povertà, non si cura di considerare che l’umiltà di certe classi è
necessaria alla composizione naturale e sociale del mondo, come le pietre
seppellite nella profondità delle fondamenta sono necessarie alla elevazione
dell’edifizio e si abbandona facilmente ad invidiare le classi sublimi. I
filosofi, dunque, predicando l’uguaglianza e lusingando gli affetti del volgo,
lo spingono all'odio contro i grandi e contro i governi, e lo riducono a
mettere sottosopra il mondo, quantunque sappiano che dopo la rivoluzione il
volgo resterà più povero e più disuguale di prima. Ed ecco la buona fede dei filosofi
liberali.
[1] M. Leopardi, “Catechismo filosofico per uso delle scuole inferiori”, pp. 13 - 17, Stamperia Reale, Napoli, 1857.
Luigi
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